La controversia sorta ad aprile tra “brianzoli ribelli” e Salone del Mobile ha messo in luce alcune tensioni che vanno ben al di là dello scontro tra espositori e organizzazione, rivelando una corrente di fibrillazioni che merita uno sguardo più approfondito.
Naturalmente, una polarizzazione che salta subito agli occhi è quella che ha caratterizzato le prime narrazioni dedicate alla vicenda, ovvero quella tra centro e periferia: non a caso, proprio la denominazione “brianzoli ribelli” descrive lo scontro secondo un asse geografico che contrappone il capoluogo lombardo a uno dei principali distretti produttivi della regione.
Tuttavia, siamo davvero sicuri che questo genere di rappresentazione sia corretta? Più probabilmente, ai due angoli del ring sono collocati due centri, i cui interessi sono entrati in rotta di collisione. La presunta “periferia” costituisce infatti un riconosciuto centro d’eccellenza. Definire “periferici” nomi blasonati come Poliform, Poltrona Frau, Molteni e B&B equivarrebbe a considerare tali anche Ferrari e Lamborghini in quanto collocati nella provincia modenese. Da questo punto di vista, la capacità di continuare a generare business anche durante la pandemia, sfruttando le potenzialità dell’e-commerce e il valore dei propri brand nel rappresentare la maestria del Made in Italy, testimonia la forza di aziende in grado di muoversi da protagoniste in un mercato sempre più globale, diffuso e digitalizzato. La città di Milano, dal canto suo, a fronte del rischio di perdere il proprio ruolo riconosciuto di palcoscenico internazionale del design, ha dovuto tenere conto anche di interessi più marcatamente locali, dato il concreto pericolo da parte dei propri ristoratori, albergatori e tassisti di veder sfumare un’importante occasione di rilancio dopo un periodo particolarmente difficile.
Proseguendo nell’analisi delle contrapposizioni, è interessante notare come una delle prime argomentazioni con cui le voci pro-Salone hanno reagito alla defezione dei grandi brand dell’arredo abbia riguardato il pericolo che a Milano venisse sottratto il ruolo di punto di riferimento dell’interior design a vantaggio di altre città europee, prontissime a ospitare manifestazioni simili al Salone e soprattutto in grado di mettere in pool tutte le risorse e i talenti necessari per dare vita a un evento di successo.
La difficoltà nel “fare sistema” è un tratto quasi stereotipato che compare spesso nelle descrizioni delle vicende italiane. E forse qualcosa di vero c’è, dato che qualche segnale del prevalere di un certo istinto corporativo, rispetto alla composizione delle differenze, è giunto proprio all’indomani dell’annuncio della “ribellione”. In particolare, per bocca del presidente di Federalberghi Milano, Maurizio Naro, che a caldo ha dichiarato: "Come imprese alberghiere, non sceglieremmo certo per forniture e ristrutturazioni i prodotti provenienti da aziende che hanno voluto il rinvio del Salone". Un tentativo di “prova di forza”, in cui imprenditori determinati a difendere il proprio legittimo interesse si scontrano con altri imprenditori determinati a difendere il proprio legittimo interesse.
Ma c’è un’ulteriore polarità che si manifesta sotto la superficie delle tensioni apparenti, e riguarda l’assoluta imprevedibilità del periodo di pandemia, in una contrapposizione Covid-19 vs New Normal. Ovvero: è davvero conveniente trarre conclusioni a partire da una situazione straordinaria e senza precedenti? La domanda riguarda proprio il successo del comparto del mobile durante la pandemia. Al di là delle considerazioni sul Made in Italy e sull’e-commerce, appare evidente che il lungo periodo di lockdown e la diffusione dello smartworking, fenomeni che non hanno certamente coinvolto solo l’Italia, abbiano contribuito a spostare sull’ambiente domestico il baricentro delle nostre vite. Non a caso, proprio l’arredamento e l’home living hanno fatto segnare un boom nel 2020 in Italia per quanto riguarda l’e-commerce, con un +30% rispetto all’anno precedente e un giro d’affari di 2,3 miliardi di Euro.
A questo punto, guardando con fiducia ai dati sulla correlazione tra vaccinazioni e calo della pressione ospedaliera, è lecito attendersi che la ripresa di una vita più “normale” (e dunque meno confinata) coinciderà con un ritorno a una spesa meno concentrata sull’ambiente domestico. Se così fosse, probabilmente i dati relativi all’anno di pandemia andrebbero presi con una certa cautela, resistendo alla tentazione di interpretarli come il segnale di una nuova tendenza.
Centro vs Periferia, Industry vs Industry, Pandemia vs New Normal: sono queste le principali linee di tensione che, a nostro avviso, la controversia sul Salone ha messo in luce. Ma non sono certamente l’unico spunto di riflessione suggerito dall’evento. Nel prossimo capitolo della nostra mini-saga, in particolare, parleremo di specificità e punti di contatto tra il mondo del design e quelli del fashion e della cultura, per capire i diversi modi in cui hanno reagito agli ostacoli imposti dalla pandemia. Alla prossima!