settembre 2021

Design (and) Thinking #6 - La forza creativa del ri-connettersi

Copertina mini saga salone capitolo 6

Per concludere la mini-saga dedicata al Salone, ripensiamo al ruolo delle metropoli nel mestiere della generazione delle idee.

Nelle dinamiche tra centro e periferia, è innegabile che le metropoli siano da sempre il terreno più fertile di ogni forma di creatività, in cui gli “urbani per scelta” sono compartecipi di una sinergia e di una contaminazione speciali. Nelle parole della designer Paula Scher: «Amo lasciare New York. Ma non riesco a stare via tanto, devo tornare dopo poco in città. Altrimenti non ho più nessuna idea!».

Ma quando la pandemia ha colpito, si sono sgretolate le fondamenta di gran parte di ciò che rendeva speciali le città. Ristoranti, piccole attività e persino grandi catene di vendita - come Arcadia e Debenhams nel Regno Unito - hanno chiuso i battenti in numero record. I sistemi di trasporto di massa nelle grandi capitali hanno subito gravi tagli al servizio e i grandi centri si sono svuotati, con tanti cittadini fuggiti in zone rurali o suburbane.

 

Il Bosco Verticale a Milano, la città del Salone del Mobile

 

Nell’incertezza generale si sono fatte varie speculazioni sul futuro dei nostri centri urbani, tra cui forse la più interessante rimane tutt’oggi quella del ritorno in auge del piccolo borgo, promossa tra l’altro da un ambassador eccezionale: Stefano Boeri, il curatore del Salone del Mobile 2021.

Per l’archistar, intervistata dal Sole 24 Ore, la città del futuro è «Un arcipelago di borghi che ci riavvicina alla natura», riferendosi ad un importante progetto di rilancio dei piccoli centri italiani, a cura di Politecnico di Milano e Touring Club Italiano.

Una delle prospettive da cui possiamo affrontare la questione ce la suggerisce proprio la vicenda del Salone con le sue dicotomie (fisico vs digitale, Milano vs Brianza) di cui abbiamo parlato nelle scorse puntate: qual è la nuova collocazione della creatività e del design nel mondo Post-Covid?

 

La nuova collocazione della creatività e del design post Covid

 

Il dibattito sui nomadi digitali

Siamo davvero alle soglie di un mercato del lavoro creativo diffuso, se non “disperso”? 

A livello globale, l'ascesa di un grande e nuovo gruppo di lavoratori in remoto e in viaggio è una delle narrazioni prevalenti su un mondo del lavoro riformato dal Covid-19: uno stile di vita che ora, con l'introduzione dei vaccini, sempre più persone si dichiarano disposte ad abbracciare. Alcune mosse dei principali attori del settore dell'hospitality e del turismo danno forza a questa previsione. Guardando verso un futuro post-pandemia, Airbnb ha spostato la propria attenzione dagli alloggi per brevi soggiorni agli affitti a lungo termine - un mese o più, ad esempio - pur in previsione della fine dell'era del distanziamento sociale. La società ritiene che molte persone potrebbero non continuare a lavorare da casa, bensì da location al di fuori dei costosi centri urbani. Il trend interessa maggiormente i lavori creativi con forte capacità di integrazione con i tool tecnologici.

Ma lo stesso Boeri, nell’intervista, aggiunge: «Questi borghi non devono perdere la valenza agricola con cui nascono, ma bisogna portarvi la tecnologia, reti wifi e fibra, perché la gente ha bisogno di rimanere collegata».

 

Corniglia, uno dei borghi delle Cinque Terre

 

Via dalla città, dunque, ma a patto di riuscire a portarsi dietro quello che essa ha di più prezioso e abilitante per l’umano del terzo millennio: la possibilità di collegarsi e connettersi.

In una prospettiva di breve-medio periodo, verosimilmente non sarà né facile né immediato trasferire nei piccoli centri le infrastrutture, i servizi e le potenzialità di osmosi creativa tipiche della città.

Del resto, non è solo la fibra a fare la differenza per i cosiddetti knowledge workers. Anche il networking, attività fondamentale per le nostre professioni, si nutre meglio di qualche forma di contatto fisico: nelle provocatorie parole del fondatore di Singularity University, David Orban, «Siamo mammiferi, e i mammiferi per conoscere e comunicare, si annusano».

Non a caso, sembra essersi smorzato il grande hype intorno al lavoro in remoto degli inizi della pandemia, con anche grandi nomi come Google sempre più in difesa di modalità di lavoro flessibile, ma con una componente ineludibile in presenza.

 

Digital Nomads Madeira, una delle prime comunità integrate tra lavoratori da remoto e locals

 

Sono comunque in atto esperimenti virtuosi: oltre al già citato progetto di Politecnico e Touring Club, nascono le prime comunità integrate tra lavoratori da remoto e locals, come Digital Nomads Madeira, che da febbraio ha cominciato ad accogliere i professionisti nomadi digitali da tutto il mondo. L’idea è di formare coaguli, centri creativi ristretti che, come è avvenuto per la Silicon Valley, traggono continuo ossigeno dalla vicinanza reciproca dei professionisti e soprattutto dalla loro dinamicità e continuo spostarsi.

La città non sta mai ferma

Una nuova geografia della creatività, multi-polare e decentrata, è possibile, ma è improbabile che ciò avverrà domani, senza contare che, in questa grande tensione centro-periferia, la città non se ne sta ferma: proprio la pandemia ha dato una grossa spinta al dibattito sulla sostenibilità urbana e aperto la strada a progetti per stili di vita alternativi. Città più vivibili e umane tornerebbero ad attrarre talenti e risorse. Dallo studio di tutti questi esperimenti di decentralizzazione, una considerazione emerge chiaramente: che si scelga di stare nel piccolo o nel grande, la creatività ha bisogno di sinergie ed interazioni, quelle che i grandi centri, regno della diversità e del cambiamento incessante e veloce, sono capaci di dare.